di PIERPAOLO RENELLA – Con l’accordo di maggioranza trovato ieri, oggi l’Aula del Senato licenzierà il decreto di rifinanziamento delle missioni estere. Alla discussione che ieri ha impegnato Palazzo Madama, io avrei consegnato le seguenti considerazioni:
Signor Presidente,
cercherò di motivare il mio voto favorevole, con riserva, al rifinanziamento delle missioni disegnato dal Governo, nel tentativo di contribuire alla definizione di quello a mio avviso deve essere inteso come politica estera la P e la E maiuscole.
Lascio volentieri al Vice Ministro Senatore Castelli, che non vedo in aula, il ruolo del membro del Governo che si dissocia in questo grottesco, populista e un po’ provincialotto gioco delle parti. La “Lega di lotta” riesce ad essere persino più miope e più patetica della “Lega di Governo”. Il manuale di condotta del “cerchio magico” prevede la riconversione di ogni tema consequenziale e difficile in materiale da cabina elettorale. La politica dovrebbe occuparsi di altro, delle scelte strategiche per il Paese. Sono stanco di ripeterlo, proverò per l’ennesima volta a illustrare ragioni concrete a supporto della mia posizione sul rifinanziamento delle missioni internazionali e sull’uso improprio che ne viene fatto per supplire all’inesistenza di una politica estera seria. Sia chiaro un punto: le missioni internazionali non servono a difendere la credibilità e il rango dell’Italia nel mondo. Questo è persino ovvio.
Qualcuno dice che sia arrivato il momento di portare a casa i nostri ragazzi. Io mi chiedo: in linea di principio è giusta e doverosa la periodica revisione delle missioni, ma in questo caso fatico a intravedere la strategia sottostante. Manca una selezione ponderata delle priorità dell’Italia nel mondo e la cosa mi preoccupa non poco. Vogliamo restare ad Herat per sostenere la transizione con un onere finanziario superiore al passato, per sostenere lo sviluppo e la governance della provincia, un pericoloso vicolo cieco. Lo stanziamento economico coprirà fino a 4.200 soldati, su 3.880 militari italiani attualmente presenti, per un onere totale semestrale che si attesta sui 400 milioni di euro (pari al 58% del costo complessivo del decreto). Dissento da queste scelte, per ragioni che vanno ben oltre le 41 vittime in Afghanistan dall’inizio del mandato, sulle quali non è mia intenzione speculare politicamente. Ma non farò mancare il mio voto, per rispetto e gratitudine ai figli di questo Paese che alla sua politica estera hanno donato la vita.
E tuttavia ho la sensazione che i veri nodi strategici stiano sfuggendo ai più. L’ansia di ottemperare agli impegni internazionali assunti dall’Italia a suo tempo ci costringe a “stare al gioco” anziché affrontare la questione delle scelte determinanti che il nostro paese dovrà compiere nei prossimi decenni. Il nostro Governo nella migliore delle ipotesi è paragonabile al medico militare di un ospedale da campo che presta il soccorso nel luogo sbagliato, senza essere neanche in grado di affrontare le emergenze, posto che tamponare le emergenze sia una strategia adeguata nell’epoca multipolare che si va profilando.
Per quanto riguarda l’Iraq, ad esempio, il Governo intende portare avanti un’azione di sostegno allo sviluppo delle regioni del sud del paese, “sottolineando l’ impegno a non abbandonare tali province dopo la chiusura dell’Unità di sostegno alla ricostruzione di Nassiriya, dove l’Italia ha operato con successo per sei anni”. In Iraq il contingente attualmente presente è esiguo (73 unità) ma qualcuno ha idea di quanto sia costata nel complesso questa guerra? Una guerra che, tra l’altro, indebolendo l’Iraq ha avuto l’indubbio effetto collaterale di rafforzare l’Iran; il grande nemico degli Stati Uniti e dell’Occidente è diventato la potenza locale predominante nell’area del Golfo Persico. E l’Italia, con la sua bella livrea da cameriere della diplomazia, ha versato senza fare una piega la sua quota di finanziamento di questo errore colossale. Eppure bastava alzare il dito e dire: l’Arabia Saudita non è in grado, da sola, di dominare la regione, per cui il conflitto strategico avrà sempre come contendenti Iran e Iraq. Se distruggete l’Iraq, sarà l’Iran il primo a beneficiarne. Cos’è in definitiva la politica estera di un paese, se non fare anche questo tipo di considerazioni? Fortunatamente la coalizione internazionale sta limitando i danni in Iraq. Ma è sprofondata nel pantano dell’Afghanistan, dove pure il Governo italiano intende “sostenere lo sviluppo rurale, che porti a un miglioramento del reddito, delle infrastrutture e dell’accesso rurale”, il tutto mentre i talebani impazzano. Vogliamo persino inviare nuove truppe, non è chiaro se per tentare di ricostruire il paese o per attuare una semplice strategia antiterroristica o per fare entrambe le cose. Se il Ministro degli Esteri è in grado di far chiarezza in merito, ci informi senza indugi. In Afghanistan ci stiamo svenando, ma la vera criticità – paradossalmente – prescinde dai costi. Il governo afgano è tra i più corrotti e tra i meno efficienti al mondo. Tutte le elezioni svolte finora sono state macchiate da brogli colossali, a riprova che il sistema attuale è privo di qualsiasi forma di legittimità. E il Governo italiano “intende sostenere le autorità del Governo legittimo” afgano “nella fase di graduale passaggio di responsabilità”. Sono pronto a metterlo per iscritto: i talebani se la ridono e avranno partita vinta senza dover impegnarsi più di tanto.
Ma la cosa più importante – e con questo concludo, Presidente – è che i tanti fronti aperti hanno assorbito una gran quantità di tempo, di risorse e di energie meglio impiegabili nell’area del Mediterraneo. Il Ministero dell’Economia pesta i piedi per un emendamento che reintroduce una quindicina di milioni per la cooperazione internazionale. E anche in questo caso rivela un approccio maldestramente ragionieristico alla questione.
A titolo personale voterò il rifinanziamento per senso di riconoscenza ai nostri ragazzi. Nulla di più, e ci tengo a chiamarmi fuori dal fronte trasversale fintamente e/o subdolamente patriottico. Questo resta un testo che mortifica la credibilità internazionale dell’Italia, che meriterebbe un voto contrario perché disperde i sacrifici economici, anziché concentrarli nelle regioni vicine all’Europa e perché non una parola è stata spesa sulla politica delle alleanze internazionali. Non andrebbe votato perché considero un grave errore il taglio lineare del numero soldati in missione dal 2012, senza prima operare una strategia selettiva di ampio respiro che orienti le scelte, a sua volta preceduta da un dibattito in seno alle coalizioni internazionali di cui l’Italia fa parte. Voto ma boccerei il testo, in definitiva, per “insufficienza di politica estera”, della quale le missioni internazionali oggigiorno sono tristemente diventate un surrogato. Grazie.